Blockchain sta diventando sempre più un argomento “di massa”, tanto che anche testate generaliste come Focus se ne stanno accorgendo.
In particolare l’articolo pubblicato ieri su focus.it a nome di Eugenio Spagnuolo è un articolo interessante, che ha il pregio di iniziare a spiegare al grande pubblico che la blockchain non è solo un giochino per i nerd che si divertono a creare monete…
Il pezzo è scritto bene, e contiene solo alcune imprecisioni.
La prima è quella in cui si dice che “la blockchain distribuisce il registro delle transazioni (blocchi) tra milioni di utenti nel mondo: ogni nodo (un computer connesso alla rete) riceve una copia del registro automaticamente”.
Invece ad esempio i nodi di Bitcoin sono “solo” meno di 10mila, e non c’è bisogno che tutti i computer degli utilizzatori si scarichino l’intera blockchain. Anche perchè la blockchain di Bitcoin è un file che pesa 200 GB, quindi sarebbe un problema se tutti gli utenti dovessero scaricarsela! Infatti solo i nodi memorizzano l’intera blockchain, mentre gli utenti “normali” utilizzano dei software come il wallet Electrum che non hanno bisogno di scaricarsi un file da 200GB per poter funzionare (ma si connettono ai nodi interagendo con essi).
La seconda “imprecisione” sta nei 4 possibili impieghi della blockchain suggeriti, perchè manca quello in cui viene già utilizzata di più al di fuori delle criptovalute: la logistica. Ovvero il tracciamento degli spostamenti dei beni, o la certificazione della catena di produzione. Inoltre nel paragrafo sui notai probabilmente conveniva accennare anche alla “tokenizzazione” dei documenti, che consente ad esempio di registrare pubblicamente, in modo certificato ed indelebile, dei documenti sulla blockchain ad esempio di Bitcoin, ma senza dover rendere pubblici i documenti stessi (ma questa è proprio solo una sottigliezza).
La terza imprecisione è sul voto digitale, quando si dice che “le cose potrebbero cambiare nel giro di qualche anno”: in realtà siamo ancora ben lontani dal poter utilizzare la blockchain per votare, tanto che il caso citato (quello della Sierra Leone) non è privo di dubbi. O, meglio, è un sistema usato solo per archiviare e conservare i dati, ed in realtà con il voto c’entra davvero poco. Tuttavia va detto che questo l’articolo lo mette in evidenza, e chiaramente definisce questo progetto “una sperimentazione”. Pertanto l’unica imprecisione è l’eccesso di ottimismo sulle tempistiche.
La quarta imprecisione riguarda la spiegazione del funzionamento di blockchain, in particolare quando si dice che i nuovi blocchi vengono aggiunti ogni 10 minuti: questo vale solo per Bitcoin, perchè i 10 minuti sono un ritmo assolutamente arbitrario, e anche impreciso. Ogni blockchain imposta questo ritmo in modo differente (ad esempio su Ethereum sono circa 15 secondi), e varia nel tempo perchè in realtà ad essere fissata non è la distanza temporale tra i blocchi, ma la difficoltà del mining, che più o meno deve far sì che i miners riescano a convalidare ogni blocco in circa il tempo previsto (quindi ad esempio per Bitcoin in circa 10 minuti).
Questa precisazione è più importante di quanto non si creda (ovvero non è irrilevante), perchè il ritmo di 10 minuti, unito alla dimensione massima di 1MB per blocco, rende la blockchain di Bitcoin lenta e non scalabile, tanto da richiedere l’introduzione di un nuovo strumento (Lightning Network) per risolvere questo “problema”. Inoltre ogni blockchain da questo punto di vista può funzionare in modo differente, quindi non ha senso evidenziare la tempistica dei 10 minuti quando si parla di blockchain in generale.
Come avrete capito però le imprecisioni sono proprio solo imprecisioni, non particolarmente gravi (anzi…). Quindi i benefici che portano questo genere di articoli per quanto riguarda la diffusione tra le masse della conoscenza di queste nuove tecnologie, importanti ma difficili, sono di gran lunga maggiori dei “danni” (se tali si possono definire) generati dalle imprecisioni. Insomma: avercene!