Perianne Boring è la fondatrice, ed il presidente, della Camera del Commercio Digitale americana.
Oggi Coindesk pubblica un suo articolo in cui descrive il trattamento fiscale delle criptovalute negli USA. Nell’articolo Boring dice che c’è qualcosa di straordinariamente crudele, persino folle, nell’approccio dell’IRS al trattamento fiscale delle valute virtuali (IRS è l’Internal Revenue Service, ovvero lagenzia fiscale americana). Secondo Boring:
“La blockchain ha il potere di promuovere il benessere generale e assicurare le benedizioni della libertà a noi stessi e ai nostri posteri. Questi obiettivi sembrano essere due dei sei obiettivi del governo americano, come stabilito nel preambolo della Costituzione.
Quindi è imbarazzante che l’IRS, un’agenzia del governo federale, abbia adottato un’interpretazione della legge fiscale che inibisce severamente il raggiungimento di questi fini”.
Il problema? Nel 2014 l’IRS decise di trattare le cosiddette “valute virtuali convertibili” come proprietà (in Europa invece ad esempio sono spesso trattate come valute estere). Pertanto negli USA sono sottoposte a plusvalenze, o perdite, con lo stesso trattamento fiscale dei redditi da capitale (e con i relativi obblighi di segnalazione). Quindi ogni volta che si effettua una transazione in criptovalute l’IRS esige che l’importo venga registrato, e calcolato l’eventuale guadagno o perdita da inserire poi nella dichiarazione dei redditi. Di fatto pertanto se si è evidenziato un guadagno (perchè ad esempio il valore è cresciuto nel tempo) si deve pagare una tassa.
Boring definisce questo un “pantano proibitivo” (e pazzesco). Secondo lei è sintomatico di un problema più ampio con l’approccio sconnesso di Washington alla tecnologia:
“Le banche centrali di tutto il mondo stanno esplorando il concetto di moneta digitale emessa dalla banca centrale. Come può essere considerato proprietà una cosa trattata come moneta da una banca centrale?”
Ricordiamo ad esempio che l’ente di vigilanza finanziaria svizzera ha da poco definito le criptovalute come bitcoin “token di pagamento” (probabilmente la migliore definizione “istituzionale” ad oggi in circolazione al mondo), quindi nè proprietà, nè security, nè commodity.
Inoltre l’ispettore generale del Tesoro americano ha pubblicato un rapporto dettagliato nel 2016 che critica questa posizione dell’IRS:
“Non sembra che nessuna delle azioni già adottate dall’IRS per affrontare la non conformità fiscale virtuale alle valute sia stata coordinata per garantire che l’IRS mantenga un approccio strategico alle implicazioni fiscali delle valute virtuali.
Ad esempio, se un contribuente utilizza una porzione di un bitcoin per acquistare una tazza di caffè ogni giorno per una settimana, lui o lei dovrà determinare quale porzione del bitcoin è stata utilizzata per effettuare l’acquisto in base al tasso di cambio giornaliero, convertirlo in dollari USA e tenere un registro di ogni transazione in modo che il guadagno o la perdita dalla sua proprietà in valuta virtuale possa essere adeguatamente riportato.”
Difficile dare torto a Boring quando definisce questo un pantano proibitivo, e pazzesco.
Il Comitato economico congiunto del Congresso ha recentemente dedicato un intero capitolo del suo rapporto annuale alla blockchain, citando il lavoro della Camera del Commercio Digitale e raccomandando che i legislatori si coordino tra di loro per garantire quadri politici coerenti. Tra gli elementi più importanti di tale coordinamento vi sarebbe proprio il trattamento fiscale.
Infine secondo Boring il Congresso dovrebbe trattare la valuta virtuale come un’alternativa alla valuta emessa dal governo (ovvero come le valute estere), esentando espressamente le transazioni in valuta virtuale convertibili dal trattamento riservato agli investimenti con tanto di plusvalenze ed obblighi di segnalazione. Insomma, esattamente come facciamo in Italia (ed in gran parte d’Europa).
Fonte: www.coindesk.com/crazy-cruel-us-tax-crypto-currency