E così anche l’Italia ha i suoi cybercriminali che operavano con la tecnica del “ransomware“.
Infatti il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza con l’Operazione “Virtual money” ha indagato 7 persone, e ne ha arrestate 2 in provincia di Frosinone: infettavano computer con il ransomware (un virus informatico che blocca l’accesso ai dispositivi infettato richiedendo un riscatto da pagare per rimuovere il blocco) e chiedevano poi 400 euro in bitcoin per sbloccare i computer infestati. I finanzieri, in sei mesi di indagine, hanno scoperto che sulle carte di credito dell’organizzazione era transitato più di un milione di euro!
Due hacker ora sono sotto custodia cautelare in carcere, mentre gli altri cinque hanno l’obbligo di firma. Il capitale sociale aziendale di una società collegata è stato messo sotto sequestro, così come tutte le disponibilità finanziarie dei membri dell’organizzazione.
L’indagine è partita grazie ad alcune segnalazioni di operazioni finanziarie anomale da parte di alcuni intermediari finanziari che avevano notato volumi eccessivi di denaro transitare su alcune carte ricaricabili: i finanzieri hanno ricostruito a ritroso il percorso del denaro fino ad arrivare ai riscatti in bitcoin. “Quest’ultima circostanza – spiegano le fiamme gialle nella nota – è stata particolarmente valorizzata dall’Autorità giudiziaria in quanto costituisce reimpiego in attività finanziarie e speculative”.
Le vittime venivano scelte in tutta Italia, in particolare in Toscana e Lombardia. La mente dell’organizzazione sarebbe un informatico di Frosinone, mentre l’altro arrestato era il suo aiutante diretto. Gli altri cinque indagati avrebbero avuto l’incarico di trovare “teste di legno” a cui intestare i conti correnti. L’associazione inoltre prevedeva già che qualora uno dei membri del gruppo venisse individuato e denunciato per truffa l’organizzazione stessa provvedeva a sostenere le spese legali in sua difesa.